Verande, pensiline, gazebo e altre opere precarie: il concetto di precarietà. La Sicilia è speciale.

cga-sentenza-275-2020

CGA: le regole su tettoie e gazebo che valgono nel resto d’Italia non si applicano sull’Isola, in forza di una speciale norma derogatoria.

Attenzione: c’è una regione italiana, la Sicilia, dove l’edilizia libera (o similare) va ‘oltre’ al dpr 380/2001 e al Glossario unico dell’edilizia.

Ai sensi dell’art. 20 legge regionale 16 aprile 2003, n. 4 – norma che riveste il carattere della specialità -, infatti, la chiusura di “terrazze” e di “verande”, di superficie inferiore a 50 mq., non necessita di autorizzazione o di concessione purché venga rispettata la procedura dettata dalla stessa norma e purché si tratti di opera “precaria”, dovendo, per individuare la precarietà, farsi riferimento ai metodi e ai materiali usati nella realizzazione delle opere, giacché esula dal citato art. 20, l.reg. n. 4 del 2003 il criterio della “funzionalità” inerente la natura duratura o meno delle esigenze che le opere sono destinate a soddisfare; conseguentemente, deve escludersi che rientrino nella nozione di precarietà le strutture in muratura o in laterizi o comunque ancorate definitivamente mediante l’uso di leganti cementizi o derivati e quelle non smontabili e non rimovibili se non mediante attività demolitoria a carattere distruttivo.


Le indicazioni sono contenute nella recente sentenza 275/2020 del 23 ottobre del CGA (Consiglio di giustizia amministrativa, di fatto il “Consiglio di Stato” siciliano), importante per chiarire la portata della norma derogatoria, che ‘vale’ solo se NON si usano cemento e mattoni per questo tipo di interventi.

Si ‘dibatte’ sui lavori edilizi per l’ampliamento di una tettoia realizzata al settimo piano di un palazzo, che veniva portata da 14,06 metri quadri a 25,08 metri quadri circa e quindi, secondo il ricorrente, ‘dentro’ il limite dei 50 m² previsto dall’art. 20 della l.r. 4/2003 di cui sopra. La tettoia è stata costruita in legno, coperta con tegole e ancorata al pavimento con piastre in acciaio.

Il ricorrente sostiene di avere presentato la SCIA, corredata da relazione di un professionista abilitato alla progettazione asseverante il rispetto delle norme di sicurezza e la mancanza di pregiudizio alla statica dell’immobile ai sensi del comma 2 dell’art. 20 della l.r. 4/2003. Precisa che trattasi di opere precarie ai sensi del comma 4 del citato art. 20 e che ai sensi del comma 5 è consentita la regolarizzazione delle opere già realizzate. Afferma che «la regolarizzazione, essendo rivolta alle opere già realizzate si deve necessariamente intendere valida anche per quanto riguarda l’autorizzazione ai fini sismici di competenza del Genio civile, la cui assenza è stata contestata alla ricorrente con l’atto impugnato».

Non solo. In secondo luogo, trattandosi di variante ad un titolo autorizzativo, ritiene applicabile l’art. 10 della l.r. n. 16/2016, che recepisce l’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui «sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche ed integrazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori». Queste opere, insomma, ai sensi dell’art. 20 della l.r. n. 4/2003, non sarebbero considerate aumento di superfice utile o di volume.

Il CGA ricorda che, limitatamente alla Regione siciliana, le chiusure di “terrazze” e “verande”, disuperficie inferiore a 50 mq, non necessitano di autorizzazione o diconcessione purché “precarie” e purché venga rispettata la procedura dettata dalla stessa norma.

Per il resto, quanto al concetto di “precarietà” delle opere è lo stesso art. 20 l.r.n. 4/2003 che, al comma 4, precisa che «ai fini dell’applicazione dei commi 1,2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modotale da essere suscettibili di facile rimozione», e quindi anche gazebo, pensilie, verande e similari.

Ok, ma la tettoia? E cosa fa propendere per la precarietà? La testuale lettura della norma – precisa il CGA – induce a privilegiare la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere per poterle qualificare come precarie. La ‘precarietà’ evidentemente non può consistere nella mancanza di idonei “meccanismi di ancoraggio” atti a garantire la stabilità di dette strutture in situazione di sicurezza – la giurisprudenza ha chiarito che essa è data dalla combinazione sistemica del materiale e del metodo applicativo utilizzati; combinazione che deve consentirne, almeno virtualmente (e dunque nella previsione progettuale), lo smontaggio (ocomunque l’asportazione) senza “distruzione” dei componenti mobili e senza ricorso alla “demolizione” delle parti fisse alle quali sono ancorate.

A corroborare questa tesi milita anche la considerazione del rapporto tra il concetto di precarietà, requisito indispensabile per l’operare dell’esclusione della necessità di una previa autorizzazione o concessione edilizia, e le esigenze di sicurezza. Importante: la norma regionale non introduce alcuna deroga a disposizioni diverse da quelle urbanistiche e, in particolare, a quelle in materia di sicurezza. Tra queste ultime rientrano, certamente, quelle che richiedono la denuncia al Genio civile o, nelle zone sismiche, la previa autorizzazione. Ecco perché nel caso di specie alla fine il CGA da ragione al comune, visto che manca l’autorizzazione del Genio civile a realizzare l’opera in zona sismica.

Per il resto, invece, l’opera sarebbe stata perfettamente in regola vista la norma che consente di escludere la richiesta di permessi o autorizzazioni per la realizzazione di tettoie fino a 50 mq di superficie coperta.

Difficilmente, difatti, una tettoia che, in base al disposto dell’art. 20, può essere realizzata (in concorrenza anche gli altri presupposti prescritti) senza autorizzazioni o concessioni urbanistiche fino a un’estensione di 50 m², potrebbe essere considerata rispondente alle disposizioni in materia di sicurezza pur senza essere stabilmente ancorata al suolo. Da ciò deriva che, a pena di privare di significato la disciplina derogatoria dettata dalla norma regionale, il concetto di precarietà in essa contenuto deve essere interpretato nel senso di non escludere la sussistenza di “idonei meccanismi di ancoraggio” proprio in quanto funzionali alle esigenze di sicurezza a cui l’art.20 non consente di derogare.

In definitiva, per le opere realizzate secondo il disposto dell’art. 20 della l.r. n. 4/2003, la nozione di “precarietà” è ancorata esclusivamente al concetto di “facile rimovibilità” (e non anche a quelli di “funzionalità occasionale”, di “destinazione urbanistica” e/o di “instabilità strutturale”, “stagionalità” o “temporaneità”), dovendo pertanto restare escluse dall’ambito di operatività della deroga introdotta dalla predetta norma speciale – pur se strumentali alla copertura di verande o balconi, alla chiusura di terrazze (di collegamento o meno, ed in tal caso non superiori a 50 m²) e dalla copertura di spazi interni (cortili, chiostrine e simili) o “aperti almeno da un lato” – le strutture in muratura o in laterizi (o comunque ancorate definitivamente mediante l’uso di leganti cementizi o derivati) e quelle non smontabili e non rimovibili se non mediante attività demolitoria a carattere distruttivo.

In Sicilia si può realizzare una grande tettoia senza permesso di costruire, a patto che non sia costruita in cemento armato o muratura.

di Avvocato Salvatore Ferlisi Inviato su ATTUALITA'